L’AMORE PER LA MUSICA

di Davide “Malito” Lenti

VICIOUS, Lou Reed, dall’Lp TRANSFORMER( RCA), 1972.

Vicious e’ il pezzo che mi ha fatto innamorare della musica.
Giravano tanti Lp ( bei tempi ), sul piatto di casa. Li compravano e li ascoltavano i miei fratelli, tutti molto piu’ grandi di me.
L’impianto stereo lo compro’ mia sorella ed era un Philips, di plastica. Anche le casse erano di plastica, piuttosto piccole, leggere.
Il filo lungo che penzolava dalla mensola della libreria era polveroso. Ma era bello cosi’.
I graffi fatti dalla puntina andavano a completare il sound del disco.
Mio fratello metteva Transformer in continuazione, quasi ogni giorno.
Il ricordo che ho -era la seconda meta’ degli anni ’70, avro’ avuto 12 anni- e’ quello di una canzone straziante, inquieta, ma vitale, vera, scritta e suonata da musicisti che mi immaginavo avessero bisogno di sfogare il loro stato d’animo (che non mi pareva d’essere dei migliori…).
Non conoscevo l’inglese, ai tempi, e non sapevo tradurre e tanto meno capire il senso di quello che il testo dicesse. Ma mi piaceva lo stesso. E neanche mi importava di saperlo, il significato.
Era il sound che mi aveva preso.
Non avendoli mai visti, i musicisti me li immaginavo cosi’: vestiti male, stivaletti consumati, occhi gonfi, gente con la barba mai fatta, un po’ sporchi, anche…
Interessante, pensai.
Qualche volta mi cominciava a capitare di rimanere solo nella camera che condividevo con i miei fratelli e cominciai curiosissimo a rovistare fra le copertine messe in fila degli Lp. Erano tante…
C’erano foto di band e immagini dei poster, dei biglietti d’ingresso ai concerti, su quelle copertine…che belle le copertine degli Lp! Delle vere e proprie opere d’arte grafica. La fine del lato a volte mi sorprendeva immerso nel mio immaginario. I musicisti, poi,  erano vestiti di pelle, stivaletti vecchi, barba incolta, occhi gonfi. Allora era cosi’…
Il suono di Vicious mi era familiare, ormai. Scarno e tagliente nelle chitarre e nella voce di Lou.
Il basso semplice e ruvido. La batteria incisiva e rotolante, quando suonava su tutti i tamburi.
La chitarra rispondeva sempre e poi sempre alla voce, nel ritornello. Lancinanti. Tutte e due.
La band mi dava l’idea di non curarsene.
Mi resi conto solo dopo un bel po’ di tempo che ogni giorno andavo alllo stereo, alzavo il piatto e cominciavo la mia giornata da Vicious. Sempre per primo pezzo. Mi dava la carica.
Il campanaccio scandiva il tempo. Mi chiusi a chiave e le penne diventavano bacchette, le costole dei libri rullante e tom, l’astuccio verde il campanaccio.
La cassa con il piede destro, per terra. Mi sembrava funzionasse.
I compiti per il giorno dopo potevano aspettare. Io ero nella band.
Da quel giorno iniziai a sentirmi un batterista.