Due Moniker del Lo-fi – Band a confronto: Smog e Sparklehorse
Band a Confronto: Smog e Sparklehorse
A cura di Alfredo Cristallo
Innanzitutto una spiegazione sui 2 termini del titolo. Per moniker s’intende un gruppo dietro cui si mimetizza un solo cantautore generalmente polistrumentista. Questa soluzione venne adottata negli anni ’90 quando grazie al computer (che permetteva le registrazioni casalinghe) e al “networking” tipico del post-punk (che facilitava la collaborazioni) si moltiplicarono i casi di cantautori solisti.
Il lo-fi è un genere sviluppatosi grazie alla facilità con cui stili di nicchia raggiunsero le chart: un risultato della decisione di Billboard di compilare le sue classifiche sui dati di vendita avuti dai negozi e non dalle label. Il lo-fi è uno stile umile, avvilito e dimesso che riflette pienamente sia il senso di spaesamento alla fine della guerra fredda e l’inizio della globalizzazione sia l’umore depresso della X Generation.
Smog, ovvero Bill Callahan, è uno dei creatori del genere col suo stile scarno e pervaso da un senso di fatalistica rassegnazione. Il I° LP Sewn To The Sky (1990) colpisce per le sue stecche programmatiche (Souped Up II, Smog), le melodie sgangherate (King Tongue, Peach Pit) e insolite (Polio Shimmy), gli intermezzi da manicomio (Fruit Bats, Russian Winter) che sottendono la sua filosofia di fondo: solitudine e incomunicabilità. Il II° LP Forgotten Foundation (1992) ha quasi delle vere canzoni (This Insane Cop, la strumentale Dead River), sia pure rimasticando i Pink Floyd (Burning Kingdom)e gli Holy Modal Rounders (Bad Investment); la scoperta è che Smog tende allo spleen (I’m Smiling) e al masochismo (High School Freak). In Julius Caesar (1993), Smog s’addentra nell’armonia vera ma col suo stile singolare e dunque geniale (le malinconiche Stalked On The Tracks e One Less Star, il country asciugato di When You Walk, le romanze Chosen One e A Stick In The Mud), concedendosi dei power-rock (I Am Star Wars) e tenui psichedelie (What Kind Of Angel): finalmente, Callahan ha deciso di comunicare. In Burning Kingdom (1994) Smog prosegue il percorso verso una forma canzone più accessibile (la drammatica My Shell). Wild Love (1995) è l’album della maturità con un sound orchestrale (Bathysphere, Goldfish Bowl) che accosta le nevrosi dei Television (Prince Alone In The Studio, Sleepy Joe) e dei Cure (Be Hit) alla depressione di Nick Drake (It’s Rough): Smog ha così creato un personale stile di quieta disperazione. Con The Doctor Came at Dawn (1996; con All Your Women Things), Smog ritorna solista e con Red Apple Falls (1997) anche a uno stato di agonizzante esistenzialismo (Red Apples, To Be Of Use) che qui raggiunge vette assolute di emotività (Blood Red Bird, la title-track) e classicità (The Morning Paper). Ormai al top artistico, Smog si prende il massimo della libertà. Se Knock Knock (1999) è diviso fra musica da camera (Teenage Spaceship), brividi hard (Held) e folk palpitanti (River Guard, Sweet Treat), Dongs Of Sevotion (2000) fra pop eleganti (Dress Sexy At My Funeral, Bloodflow) e le solite desertiche litanie (19). Smog ha coniato uno stile che riassume generazioni di cantautori e ha in più lo zeitgeist della sua epoca.
Anche Sparklehorse, alias Mark Linkous, affida i propri demoni interiori a una musica lenta e spartana (e autoprodotta) ma più vicina all’alt-country.
Vivadixiesubmarinetransmissionplot (1996) è un ottimo album di lo-fi pop, spartito fra ballate acustiche (Homecoming Queen), elettriche (Cow, Rainmaker) e power-rock (Tears On A Fresh Fruit); la produzione ricercata, gli arrangiamenti singolari e i testi surreali (It’s A Sad And Beatiful World) fanno di Sparklehorse un convincente eroe del genere. Linkous rischia la vita (e l’uso delle gambe) per un overdose di valium e antidepressivi e solo 2 anni dopo pubblica Good Morning Spider che ha nella consueta varietà fra brani fievoli (St.Mary, Come On In) e sognanti (Painbirds, Sunshine), brani pop (Ghost Of His Smile, Sick Of Goodbyes) e brani duri (Pig, Chaos Of The Galaxy) i suoi punti di forza. Un nugolo di collaboratori d’eccezione (Tom Waits, P.J. Harvey, Nina Perrson dei Cardigans) è al servizio di Linkous per It’s A Wonderful Life (2001), opera di sintesi del post-rock di Sparklehorse divisa fra malinconia (la title-track, Gold Day), impressionismo (Apple Bed, Eyepennies) e nevrosi (Piano Fire, King Of Nails, Dog Door) e abbelliti dagli arrangiamenti stranianti di Sparklehorse. Linkous non si è mai più ripetuto a questi livelli; purtroppo non ha neanche superato la sua depressione e si è suicidato nel 2010 a soli 37 anni.
Smog – Bathysphere | Sparklehorse – It’s Sad and Beautiful World |