Prog Exhibition seconda serata – La danza dei Grandi Rettili
Piccola premessa, dolorosa. Avendo molte ore a disposizione prima del concerto, mi ero riproposto di andare a caccia di dischi. Mi son detto, capperi, vado a Roma, chissà quante cose trovo. Ho impiegato tutta la giornata per trovare due, dico due negozi di dischi, per altro di buon livello. Non è che non ci sono buoni negozi. Mancano proprio i negozi di dischi. Non esistono più.
Dopo l’esperienza della prima serata, decido di perdermi i gruppi spalla. Entro in teatro mentre suonano gli Abash, pugliesi, che propongono un misto tra metal prog e pizzica, direi piuttosto trascurabile.
La Prog Exhibition vera e propria inizia con la (Nuova) Raccomandata con Ricevuta di Ritorno. Non conoscevo la RRR originaria, quindi ho la mente sgombra da tentativi di paragone. Il leader della formazione, Luciano Regoli, in pieno stile prog, entra sul palco in mezzo al fumo, indossando una maschera tipo fantasma del palcoscenico. La musica è piacevole e Regoli ha ancora una voce notevole, classico timbro da hard rock anni 70. I testi (come a volte succede nel prog) sono al limite del ridicolo, ma tant’è. Nessuno della formazione originaria a parte il batterista Walter Martino, bravissimo, ex Goblin, quelli di “Profondo Rosso”. La prima sorpresa della serata arriva con l’ingresso sul palco di Claudio Simonetti, anch’egli ex Goblin, che arricchisce ulteriormente il sound con le sue tastiere. L’esibizione scorre tranquilla fino all’arrivo del primo ospite straniero, l’olandese Thjs Van Leer. Il flautista, che dai bei tempi dei Focus ha messo su una buona trentina di chili, accenna un’improvvisazione che include una citazione di “Hocus Pocus”. In realtà il gruppo attacca “House of the King”, uno dei brani strumentali più celebri degli anni 70. L’esecuzione è assolutamente trascinante, Van Leer è un grande istrione e il giovane chitarrista elbano Massimiliano Castellani è bravissimo nella parte che fu di Jan Akkerman. Inutile dire che viene giù il teatro. Un altro paio di brani e il set della RRR finisce fra gli applausi, convinti e meritati. Cambio palco piuttosto rapido, in questa serata i problemi tecnici saranno pochi, e arrivano gli Osanna. Il gruppo napoletano, sempre guidato da un tonico Lino Vairetti, si presenta con le classiche facce dipinte ed un notevole piglio rock. Con la band suona oramai da qualche anno il leggendario Dave Jackson dei Van Der Graaf Generator. Il vecchio sassofonista aggiunge una patina drammatica al suono degli Osanna, con il consueto uso di due sax contemporaneamente. Come sempre, il gruppo mescola elementi della tradizione napoletana ad un rock piuttosto deciso. Ulteriore valore aggiunto, l’ingresso sul palco di Gianni Leone, storico leader del Balletto di Bronzo. Il nostro eroe, che ha in faccia una dose di botox da fare invidia alla Santanchè, sembra uscito da una nottata in una discoteca gay. Il lieve imbarazzo generale viene immediatamente spazzato via da una furente improvvisazione all’hammond, strumento che Leone padroneggia con grande energia. Il super combo va avanti per un altro quarto d’ora, fino a una maestosa versione di “Theme One”, classico inno strumentale dei VDGG. Gran finale con tutti i protagonisti con indosso maschere da Pulcinella.
In pochi minuti, tutto è pronto per il piatto forte della serata, l’esibizione del Banco del Mutuo Soccorso. Così come la PFM la sera prima, il gruppo ha un pubblico più trans generazionale degli altri e gode del vantaggio di giocare in casa. Il gruppo entra alla spicciolata, Vittorio Nocenzi, leader carismatico e di fatto, non più spalleggiato dal fratello Gianni, si piazza subito alle tastiere. Il chitarrista Rodolfo Maltese, reduce da gravi problemi di salute, si mette in un angolino del palco, purtroppo poco più di una comparsa. L’altro membro storico, Francesco Di Giacomo, arriva alla chetichella, sommerso da un’ovazione. Purtroppo il leggendario cantante non è al meglio della forma, ma il suo timbro drammatico ed evocativo riesce lo stesso a smuovere gli animi.
Il gruppo inizia con grande verve pescando a piene mani dai primi tre album, pietre miliari assolute del prog, non solo italiano. Brani lunghi, complessi, affascinanti che danno veramente il senso di far parte di un patrimonio culturale universale. Commovente ed esaltante al momento stesso l’esibizione di Vittorio Nocenzi che si carica sulle spalle praticamente da solo l’onere di presentare al meglio questi brani con un lavoro veramente incessante. Fantastico. Molti, ragazzi e non, hanno gli occhi lucidi, a testimonianza dell’affetto – meritato – che il Banco ancora suscita.
Dopo una mezz’oretta di meraviglie, Di Giacomo, polemico e ciarliero come ai bei tempi, annuncia l’arrivo di John Wetton, bassista e cantante, protagonista assoluto della storia del rock inglese, avendo militato nei Family, King Crimson, Roxy Music, Uriah Heep, Asia. Wetton, in gran forma e con una voce ancora sicura e vibrante, guida il gruppo in una formidabile versione di “Starless” dei King Crimson. Il brano, sicuramente di non facile resa, è eseguito dal Banco in maniera assolutamente impeccabile. Chapeau. L’ospite inglese rimane sul palco per cantare insieme a Francesco il classico “Non mi Rompete” nella doppia versione italiana ed inglese. Bella, vibrante versione ed ovvia standing ovation. Wetton lascia lo stage, ma non è finita qui. Nocenzi lancia i suoi in un’altra sarabanda di suoni ruggenti e stacchi lirici, in una impetuosa cavalcata, più strumentale che cantata, coadiuvato dalla giovane line up (basso, batteria, chitarra, sax/flauto) che ben supporta, anche se talvolta con un stile un po’ troppo moderno, il tastierista romano ed i suoi un po’ malconci compari.
Alla fine siamo veramente senza fiato, e l’applauso finale, lunghissimo e liberatorio, suggella la riuscita della serata e dell’intero festival.
È stata una celebrazione, questo si, ma senza effetto nostalgia, vivaddio, e vissuta con grande dignità sia dal pubblico che dagli artisti. I momenti più alti, i duetti con gli ospiti stranieri, tutti assolutamente fantastici, segno che fra allievi e maestri, il divario non è così netto. Una bella, sentita testimonianza da quella che forse è un’ altra epoca, magari per certi versi passata e i cui eroi sono forse un po’ stanchi ed acciaccati. Ma che vale la pena di non dimenticare e di tramandare.