
Rehab Migliorare sul lungo periodo Radiohead Blur e Talk Talk
Riabilitazione: quante volte è successo che una band sia diventata interessante o innovativa a carriera iniziata? Pochissime volte ovviamente. La normalità nel rock è un avvio esplosivo e promettente e poi un assestamento o un lento/rapido declino a seconda del valore di ogni singolo gruppo.
Perché? I motivi sono essenzialmente due. Il primo dipende dal mainstream musicale: se vuoi avere successo ti affidi alla tua label che sa bene quale musica “va” in quel momento, quale tipo di brani devi fare, dove devi inserirli nel disco ecc. La seconda è ovviamente fisiologica: all’inizio un gruppo ha più idee da sviluppare, poi il successo (se c’è stato) annebbia le idee. Ho riflettuto su quali gruppi NON entrino in questa regola, ho chiesto ai miei colleghi (grazie Max e Mile) e ho trovato (solo?) 3 esempi.
Un caso famoso sono i Radiohead di Thom Yorke (voce), gruppo fra i più chiacchierati degli anni ’90 che iniziarono come emuli del pop intimista degli Smiths, un’influenza evidente nel 1° LP Pablo Honey (1993; Creep, Stop Whispering, Blow-Out), sull’ EP My Iron Lung (1994;la title-track) e infine su The Bends (1995; Planet Telex, High And Dry, Fake Plastic Trees) un grande calderone di cliché pop. Ok Computer (1997) è l’album della svolta. Per quanto ondeggi fra tono epico (Airbag, Climbing Up The Walls), tono sofferto (Exit Music, Karma Police) e tono magniloquente (Subterranean Homesick Alien), il gruppo è capace di sfoderare gemme folk rock come Let Me Down e No Surprises o la minisuite prog-rock Paranoid Android nel segno di una ricerca dell’effettismo sonoro per niente scontato; il successo commerciale premierà questa scelta e l’album diverrà una pietra miliare del decennio successivo. I Radiohead vanno oltre l’enunciato di canzone in Kid-A (2000). Qui infatti i brani sono strutture flessibili imparentati con l’elettronica (Idioteque), la muzak creativa (Optimistic, In Limbo), la sperimentazione eccentrica (The National Anthem, Morning Bell). Tutti i suoni e le parti vocali sono remixate a suggerire un’ascesi verso il divino (Everything In Its Right Place, How To Disappear Completely). La missione è completata nel seguente LP Amnesiac (2001): far coesistere in strutture volatili e glaciali, trance melodica (Pyramid Song, Knives Out) e alienazione sperimentale (Pull/Pulk Revolving Doors, Packt Like Sardines In A Crushed Tin Box).
Un caso più classico furono i Blur, i quali, benché siano con gli Oasis i maggiori esponenti del brit-pop, uno dei generi più vacui dell’intera storia del rock, costituiscono anzi uno degli esempi più sorprendenti di riabilitazione. Esordirono nel solco del Merseybeat con l’album Leisure (1991; She’s So High, There’s No Other Way), sposarono uno stile a metà fra Kinks e David Bowie in Modern Life Is Rubbish (1993; For Tomorrow) e Parklife (1994; la title-track) con echi di Elvis Costello (End Of The Century) e Wire (Girls & Boys), pervenendo con The Great Escape (1995; Stereotypes, Charmless Man, Country House) a una versione ironica di brit-pop. Persa la sfida con gli Oasis, il gruppo si ricostruisce una carriera con l’omonimo LP del 1997, che è un omaggio all’alt-rock USA (Beetlebum, You’re So Great), al trip-hop (Essex Dogs) e nei momenti migliori un saggio sull’arrangiamento dissonante (MOR, Movin’on, Chinese Bombs, Song 2 la più punk del lotto). Grazie alla sfavillante produzione di William Orbit (stratificazione sonora + inserti rumoristici), i Blur possono anche dimostrare nel successivo 13 (1999) una buona conoscenza del rock sia nei suoi fondamentali (il gospel Tender, Mellow Song) sia nei linguaggi d’avanguardia (Bugman, Swamp Song, Battle, Caramel). E al diavolo il brit-pop: suoni saturati e grazioso videoclip e persino il motivetto di Coffee And TV funziona meglio.
Lontano dai riflettori, i Blur sono diventati eccellenti musicisti. Il caso più singolare furono i Talk Talk. Se i primi 2 LP The Party’s Over (1982; Talk Talk) e It’s My Life (1984; Dum Dum Girl, Such A Shame, la title-track) presentava un tipico (ma poco carismatico) gruppo di synth-pop, The Colour Of Spring (1998; Happiness Is Easy) indicava tuttavia una prima sterzata verso un esotismo atmosferico alla David Sylvian. Il sound cambia del tutto con Spirit Of Eden (1988): il gruppo abbraccia la filosofia compositiva del free-form (The Rainbow, Wealth), tra arrangiamenti jazzati (Eden), tessiture raga (I Believe In You) e spunti di avanguardia elettronica (Desire) tutti immersi in una trance trascendente. La prassi prosegue in Laughing Stock (1991), LP immerso in atmosfere rallentate (Myrrhman), languide (New Grass, After The Flood) e spettrali (Taphead, Runeii) vicine al Miles Davis di In A Silent Way. L’incomprensione dei fans decretò la fine della band ma è dai loro ultimi lavori che bisogna partire per comprendere la musica ambientale del XXI secolo.
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